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Salvatore Enrico Anselmi presenta la mostra "Il risveglio degli Etruschi"



Salvatore Enrico Anselmi offre una lettura critica della mostra fotografica di Enzo Trifolelli Il Risveglio degli Etruschi, allestita presso il Museo Archeologico Nazionale della Rocca Albornoz di Viterbo.

Un percorso esegetico, a corredo dell'esposizione, per conoscere e comprendere il programma iconografico emerso dalle ricerche condotte secondo la tecnica fototempistica da Trifolelli su alcuni noti reperti scultorei etruschi.


Da Il Risveglio degli Etruschi. The Awakening of Etruscans, catalogo della mostra, a cura di S.E. Anselmi, Viterbo 2021, p. 5.



ÀGALMA E FIGMENTUM




«Rispetto ad altre parole affini, come simulacrum, la peculiarità di figmentum è il suo esclusivo carattere di immagine mentale. Perciò è l’identità più inafferrabile. La statua, àgalma, si fissa in qualcosa di immobile, che si lascia toccare. Il figmentum invece è mobile […] senza che alcuno lo riconosca come tale, eccetto colui che lo ha plasmato.»


La definizione di figmentum, data da Roberto Calasso in Allucinazioni americane (Milano 2021), sembra attagliarsi in modo sorprendente al principio del configurare un’alterità labile e persistente nel contempo, mobile e duttile come il pensiero che l’ha plasmata, contrapposta a ciò che per sua natura è immoto e tattile.

Nella tradizione cultuale delle civiltà antiche, gli eidola erano reificazione, concreta e materiale epifania del sacro che nella sua sostanza peculiare era considerato imponderabile.

Àgalma ed eidola, secondo questo processo, venivano condotti dunque a coincidere in quanto l’idolo era tale, visibile e oggetto di venerazione, perché reso manifesto dall’uomo attraverso la pratica della scultura che dà forma dal nulla e dall’intonso e, in tal senso è opera paragonabile alla creazione.

L’intento dell’artista esegeta, che si confronta con questi due paradigmi nell’intento di attribuire loro una valenza altra, dinamica e fluida, impermanente e persistente, osservatrice e vitalistica, coincide, per continuare a impiegare termini allusivi, con l’atto di emanare pneuma, ovvero attivare il fattore della vitalità agente. Pneuma, per traslato e a seguito della sua riconduzione a una sfera più concreta, assume il ruolo di significante, di conformazione, di traccia, durata e persistenza dell’immagine, nella retina e nella mente dove si sedimenta.

La fotografia che guarda l’immagine per coglierne una sorta di evoluzione dinamica, devoluta allo scorrere del tempo, sembra derivare da tale assunto. L’iconografia ieratica e solenne delle divinità, delle creature fantastiche e degli eroi si dinamizza, pertanto, nelle immagini dilazionate grazie allo scorrere cronologico operato dalla tecnica fotografica.

La materica, aspra o lucente superficie della statuaria etrusca assume carattere mutevole nel mutare delle prospettive fototempistiche delle quali Enzo Trifolelli si serve. L’estetica del motile, quasi come un’esegesi stilata per immagini e non veicolata attraverso le parole, sembra chiarire anche un altro assunto. Accoglie su di sé il ruolo di azione che richiama il manufatto statuario dalla quiescenza rituale, quasi ancestrale e fossile, verso la superficie della visione. E tale superficie, tale schermo ideale di scorrimento dell’immagine, è nel contempo fragrante quanto fragrante è il movimento compiuto dal fotografo, ma è astante e dunque affidata alla sedimentazione per immagini mentali e in tal senso non effimera.

La lezione estetica del cogliere lo scivolamento temporale è ridefinita, quasi con valenza topografica, nel ricostruire il moto compiuto dal fotografo, grazie a una serie di tracce fluide, di svirgolature, di strie, di filamentose indicazioni chiaroscurali.

Coda pulviscolare, sovrapposizione e fuga, sedimentazione, abbaglio e replica si contendono l’immagine da comprimari. Istituiscono per altro un sistema di corrispondenze visive, di allusioni reciproche, di allitterazioni che cooperano ad affrancare l’immagine dalla raffigurazione tout court dell’àgalma.

La riproduzione fotografica non rimane dunque nella condizione illustrativa e documentaria, ma interagisce con l’opera nel tentativo di renderne fruibile i significati quasi attraverso un procedimento chiarificatore.

Gli dei e gli animali mostruosi, l’amore coniugale e lo stigma guerriero, il rapporto dialettico e melanconico tra vita e suo termine, tra piaceri umani ed eterne distanze dopo la morte, sono invitati a un banchetto per immagini, a un rito che non si limita a commemorare. Si può dunque ricondurre a tale significato anche il titolo della mostra Il risveglio degli Etruschi, che contiene in sé il senso precipuo del richiamare l’àgalma a nuova, dinamica vita evocata.

Il processo seguito da Trifolelli è, dunque, una vocazione definibile in quanto tale in ragione del suo stesso etimo. Sintetizza e celebra, riconduce a unità e ricorda con quali espressioni l’ingegno decorativo etrusco abbia dato forma a un patrimonio di saghe e leggende, di catabasi e ascese, di considerazione quotidiana per gli oggetti del vivere e di esaltazione della sfida per non far decadere i segnacoli di civiltà nell’Orco, nelle ombre onnivore, nel dimenticatoio dell’eterna estinzione.



Salvatore Enrico Anselmi

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