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Writer's pictureSalvatore Enrico Anselmi

"Flaubert sopravvalutato" e D'Avenia il nuovo esegeta leopardiano. "Gli editori non leggono i manoscritti"... Qualche considerazione sul Carlo Carabba pensiero.



Foto tratta dall'intervista a Carlo Carabba pubblicata dal Corriere della Sera in



Una serie di dichiarazioni illuminanti circa lo stato di salute del grande malato, ovvero l'editoria italiana. Qualche considerazione sul Carlo Carabba pensiero reso noto nel'intervista all'editor italiano pubblicata dal Corriere della sera.


Carabba ravvisa qualità letteraria, sottolineo letteraria, anche nei videogiochi e nelle serie televisive (da non trascurare il fatto che il suddetto, Cicero pro domo sua, lavora per Netflix). Afferma ciò perchè ritiene deleterio innalzare steccati. A tal proposito sostiene, con vero candore, e non si può non sorridere di fronte a tanta ingenuità, che "Raffaella Carrà non è Mozart". Sarebbe illuminante conoscere quali siano i parametri e le coordinate culturali di riferimento in quanto a generi e categorie, se è possibile rimescolare le carte e sparigliarle in modo così volutamente populista. Avrei tollerato semmai l'affermazione apodittica "Franz Lèhar non è Mozart", o "la famiglia Strauss non ha avuto tra i suoi rampolli alcun musicista da poter paragonare a Mozart". Ma, rinveredendo il vernacolare e colorito eloquio di Antonio Di Pietro, la compianta Raffella Carrà che c'azzecca? Cosa c'entra? La Raffa nazionale ballava e cantava, non credo abbia mai composto i ritornelli stucchevoli delle sue sigle e canzonette.

A disposizione per l'opportuna rettifica in caso contrario.

Al limite massimo del tollerabile, semmai, si può dichiarare l'impossibilità di comparare Mozart e l'altrettanto compianto Paolo Ormi il quale musicava i testi di straordinaria intelligenza di Gianni Boncompagni!

A fronte di questo incipit che per lo meno dà molto da pensare, Carabba incorre poi nel padre di tutti gli errori, ovvero attribuire valore letterario a un testo soltanto perché il suo autore si concede totalmente, riversa sé stesso, senza infingimenti, nella pagina scritta. A corroborare questo frangente, Carabba cita Alessandro Piperno: "Per essere grandi bisogna donarsi". Ci si può donare completamente, dichiarando intenti elevati ma, malgrado questo, non saper scrivere. Non sempre un autore generoso è un grande autore. Ma anche in questo caso la quantità, cioè la donazione, viene permutata, secondo un processo automatico, in qualità. Anche il serial killer redento, che dichiara tutta la sua violenza riversata negli atti efferati compiuti può donarsi totalmente al morboso lettore, ma se non rivela un insospettato talento narrativo o non si fa scrivere tutto dal solito autore fantasma, forse non andrebbe oltre la seconda pagina di un diario sanguinolento.

L'intervistato, poi, nega la fondatezza del binomio bassa qualità-successo commerciale, adducendo il caso di Corrado Augias, talentuoso autore di successo. Augias, insieme a pochi altri, costituisce un'eccezione, e comunque spesso i suoi ibri non superano il livello del civile eloquio e della dignitosa divulgazione. Si deve ricordare, comunque, quanto sovente siano faziosi in modo scoperto e indisponente, arroccati sul principio di dover necessariamente dimostrare, da buon radical chic poco avvezzo al contraddittorio, l'assoluta bontà delle sue posizioni.

Carabba prosegue concedendosi il vezzo di affermare che l'editor deve lavorare con discrezione e non soltanto sfrondare. Se così fosse, Carabba lo dichiara ancora con lindore da scolaretto poco avvezzo alla lettura, Guerra e Pace dovrebbe essere mondato di centinaia di pagine! Quindi esalta L'arte di essere fragili di Alessandro D'Avenia, dedicato a Leopardi, ovvero un lineare e scrupoloso elaborato degno di un diligente studente dell'ultimo triennio del liceo. Niente di più, per assenza di reale intepretazione argomentativa e di spessore se non quello di strizzare l'occhio ceruleo al giovanissimo potenziale lettore memore di Bianca come il latte, rossa come il sangue.

Altro nodo di Gordio.

Con altrettanto candore Carabba dichiara apertamente che le case editrici non leggono i manoscritti inviati, perché sarebbero necessari uffici e strutture che di fatto non hanno. Quindi la pubblicazione dei manoscritti avviene, potrebbe dedurre il solito malizioso avveduto, solo per segnalazione, pressione, insistenza degli amici degli amici, delle agenzie editoriali e letterarie? Grazie al consueto e miracolistico cerchio magico tipicamente italiano? In ossequio al codice clientelare che sa tanto di elevato convivio di spiriti eletti costituito dai soliti nomi blindati? Ma certamente no! Ci rifiutiamo di credere che tutto ciò possa accadere in un Paese dove radicato vige il senso della legalità e della giusta considerazione qualitativa.

Lo stesso editor ammette di leggere con altalenante dedizione e fortuna i venti e più manoscritti che ogni settimana giungono sul suo tavolo di lavoro. Forse apertura di testo, a pagina 2 e a pp. 39, 125, 360 a salti, secondo casualità o beneaugurante simpatia cabalistica per una cifra o per l'altra del testo che infarcisce, insieme ad altre decine, il suo scrittoio o la memoria del pc? E se il manoscritto è frmato daTizio Caio viene rimosso nell'arco di cinque minuti? E se invece è l'essudato meningitico imperdibile del politico al governo, dell'attore/attrice di belle speranze, dello sportivo, della showgirl, del generale che spinge l'elettorato a "tracciare una decima sulla scheda"? Ma certamente no!

E quindi la consueta canonizzazione del non scrittore. Carabba menziona la conduttrice Ema Stokholma, che parla servendosi di un italiano elementare se non stentato, la quale ha redatto, qualche anno fa, un libro di autofiction, promosso e pubblicato grazie all'interessamento dello stesso Carabba. Questi rileva che, dopo un iniziale insuccesso del titolo, questo avrebbe poi esercitato meritatamente grande presa sul pubblico per essere stato raccontato dall'autrice il diffcile rapporto con la madre. Quindi ancora una volta il topos contemporaneo della famiglia disfunzionale, del protagonista fragile e disfunzionale, che riesce in qualche modo a sollevarsi dal suo stato di prostrazione. Percorso esistenziale encomiabile, ma non tutte le ragazze con alle spalle un menage problematico devono diventare necessariamente scrittrici.

Detto questo Carabba regala, con grande generosità, un grande dono a chi legge l' intervista: Flaubert è uno degli scrittori più sopravvalutati della storia letteraria internazionale, perché "bullizza i suoi personaggi". Il solo uso dell'espressione "bullizzare" in un contesto estraneo, quale può essere la segosa realtà provinciale della Francia rurale e piccolo borghese ottocentesca, provoca sincere perplessità.

Ma vorrei suggerire che si tratta forse di un'opzione stilistica, di un approccio autoriale, dell'intento di far filtrare la propria visione della vicenda e affermare che la scrittura debba essere, malgrado tutto, l'espediente per comunicare una propria visione del mondo. Che poi questa visione non sia universalmente valida perché risponde, rispecchiandola, all'indole e alla condizione osservativa prospettica dell'autore, è altra questione ed esula da qualsiasi contrddittorio. Del resto un autore può criticare o non adeguarsi al comportamento dei suoi personaggi, Victor Hugo, Honoré de Balzac, Charles Dickens docunt, ma non per questo non è in grado di prendere le parti o di soffrire e gioire insieme ad essi, con umanità e clemenza.

Le dichiarazioni di Carabba richiamano nei contenuti di fondo le argomentazioni, discutibili, enunciate da Rosella Postorino in un suo recente articolo pubblicato in Lucy sulla cultura in merito alle polemiche che hanno coinvolto la scrittrice Alice Munro. Per una visione completa della questione, di seguito il testo del mio post pubblicato in proposito su facebook, qualche giorno fa.


"Questo articolo di Rosella Postorino fa pensare allo strapotere del relativismo e della non compromissione dell'io di fronte a comportamenti oggettivamente deprecabili, di fronte alle ragioni della letteratura e di fronte al fatto che una madre abbia di fatto disatteso il suo compito di fronte alla terribile accusa mossa da sua figlia contro il patrigno dal quale è stata abusata. Alice Munro, Premio Nobel per la letteratura recentemente scomparsa, è in questi giorni al centro di dibattiti e polemiche, innescati da accusatori e difensori. Sta di fatto che il silenzio e la disaffezione nei confronti della vittima sono stati perpetrati da sua madre, cioè da colei che avrebbe dovuto in ogni caso prenderne le difese. Ciò soprattutto alla luce della confessione e della condanna comminata al secondo marito della scrittrice. E se questo comportamento, che oserei definire inumano, non è contraddittorio con l'impegno civile travasato da Munro nella sua produzione narrativa, non saprei davvero in quale altro modo definirlo.

Nell'articolo si vuole comunicare il messaggio secondo il quale il talento, nella fattispecie ondivago e somministrato in maniera ineguale nell'arco di tanti anni di scrittura, assolva dall'azione riprovevole e dall'ignavia del non aver condannato, del non aver preso le distanze dall'orco, dall'aver proseguito una vita apparentemente comune accanto a questi.

Rattrista e fa riflettere negativamente, poi, l'affermazione seguente di Postorino sulla letteratura e suoi compiti, che trascrivo di seguito e che non condivido in alcun modo, sempre nell'ottica, secondo la quale il relativismo spinto ed esasperato finirà per far compiere all'uomo il salto oltre l'ultimo ostacolo, verso la terra del non ritorno:'Nelle opere letterarie non cerco la promozione (né la professione) di idee, per quanto buone o indispensabili siano. Quelle, me le aspetto dalla politica. Nelle opere letterarie cerco la rappresentazione di ciò che l’umano può essere, senza giudizio. Dovrebbe essere banale ripeterlo, tanto che quasi mi imbarazza farlo. Ma a quanto pare non lo è, o non lo è più [...]. Il punto è che i romanzi e i racconti non hanno un messaggio da comunicare, tantomeno univoco e inequivocabile'.

Apologia del disimpegno, etico e culturale."


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