Giungeva alla foce dopo lungo percorso e lì non inaridiva
Giungeva alla riva dopo aver domato gioghi ostili
e pianure complici alla scesa
Giungeva fluente e sicura con fievoli gorghi
Giungeva giocosa e s’acquietava dove trovava freno.
L’abbiamo vista fendere il cielo
L’abbiamo scorta tremante di tripudi e luce in brillio
sottile come stille di pioggia, come fresche mattine
e come in trepida attesa ne abbiamo raccolto
il senso, il verso, il comando.
A questo, certo e netto come il tuono,
gigante come il masso,
non vogliamo sottrarci e chiediamo riparo,
guglia, portale, camera di pitture accesa
che squilla dagli occhi al seno,
al luogo dove il pensiero cala
sul petto ferito di gioia, di gioia che scava
e lascia inermi e fuggiaschi
inermi e alleati alle braccia
Non esaurire la corsa fiorente come fuochi
consumati con troppa fretta nella sera
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