Moratoria all'impiego indiscriminato dei musei italiani come set per servizi fotografici e video musicali. Dopo gli allestimenti che hanno stravolto e impoverito il percorso museale degli Uffizi, dopo i ballerini nudi che si agitavano nelle sale della pinacoteca fiorentina, l'illuminata direzione concede il museo per l'ennesimo servizio fotografico di moda. A Torino il recente allestimento di un'importante sezione del Museo egizio diventa teatro di un video dove un rapper seminudo si dimena tra le antiche statue di divinità e faraoni. Si ritiene davvero che queste discutibili operazioni, che non hanno niente a che fare con la democratizzazione dell'arte e l'apertura degli spazi museali a un pubblico esteso, possano costituire i passaggi ineludibili per una corretta politica di divulgazione culturale? Non si tratta di essere retrivi, conservatori, élitari e snob, come in questi giorni si è scritto e detto, quanto invece individuare percorsi metodologicamente rispettosi che operino i giusti distinguo. Non tutti gli strumenti sono adatti in ogni contesto. Non tutti i linguaggi sono il veicolo più efficace. Quale valore aggiunto potrà mai essere assicurato a un museo che conserva opere, considerate patrimonio dell'uomo di ogni tempo, dalla manifestazione di fenomeni effimeri, portatori di non cultura o di pseudo-cultura, o "cultura" altra? E con quale spirito, struttura critica, formazione propedeutica i sostenitori di questi fenomeni effimeri potranno accostarsi alle collezioni di un museo per poterne decodificare i percorsi allestitivi e i legami reciproci delle opere sulla base di questi presupposti? L'arte è per tutti, certamente! Ma per tutti coloro che vi si accostino con il giusto approccio, con l'umiltà e l'intento di conoscere e di ammirare. Lo stravolgimento, la mercificazione, la svendita in nome di una società animata da valori etici e culturali liquidi o peggio aeriformi, non è di certo la strada da seguire. Modello etico credo sia stato invece il netto rifiuto del governo greco, qualche anno fa, quando in piena crisi economica ha negato l'Acropoli di Atene per l'ennesimo servizio fotografico di moda non ritenuto consono al luogo. Si devono, dunque, ristabilire criteri e modalità, individuare luoghi e circostanze, affinché non venga tutto rimescolato in un indefinito calderone che deforma sistemi di pensiero e modalità attuative, conoscenze ampie e divulgate, abilità tecniche e specialistiche. I processi di errata o presunta democratizzazione rischiano di svilire, devastare e distruggere. Che la moda si faccia sulle passerelle, dalle pagine delle riviste e dai siti web nei contesti che le sono più propri. Che i cantanti si esibiscano sul palco, fisico dei concerti e su quello virtuale del web, ma senza dover ricorrere a quello che non pertiene loro, che è estraneo, che è stato applicato forzosamente.
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