Ho percorso a ritroso il tracciato
a trecentosessantacinque giorni,
a trecentosessantacinque stazioni
che mi separano dalla pietra rotolata
a trecentosessantacinque pugni alzati contro l’alba
a trecentosessantacinque imprecazioni contro la notte
contro la salita insensata che mi si para davanti,
contro il percorso che, dipanato ancora accanto, ancora si ostina
intollerabile come il pondo sul petto che non assopisce la presa
come la voce franta del liberto non redento
come la lontanissima vita che era
come il lavacro macabro di un rituale da non osservare.
Ho compianto lo stigma dell’imposizione a porre termine,
termine a questa stagione apparente a tutti noi concessa
che dovrà raccordare le strade
senza più crudo e osceno interrompersi
col verso tranciato sulle labbra, verso bieco e maledetto
senza più abbandoni ai quali è perduto l’opporsi
In attesa, alla fiamma in attesa di quel giorno ha senso ancora
credere allo sfioro di luce sulla faccia del mondo
che si rigira altrove e trae dietro di sé uno strascico
che arde sul lapis e astri caduti.
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