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Writer's pictureSalvatore Enrico Anselmi

Mi sono imbattuto in un nuovo libro

Updated: Apr 2




Copertina grafica di genere fumettistico. Non apprezzabile in quanto tale, ma in quanto debole per gusto, per personalità scialba, per tracciato incerto come quello di un principiante con la mano malferma. Simile alle campagne pubblicitarie o di diffusione-progresso quando si vuole che appaiano innocue, linde e pulite, rarefatte e non aggressive, tranquillizzanti e lobotomizzate di tinte pastello le più bieche riforme sociali e le più ciniche e speculative abrasioni dei diritti fondamentali.

Mi sono imbattuto in un nuovo libro che cade senza essere aperto.

La caduta consiste nell’essere stato commesso l’errore principe, il padre di tutti gli errori, quello che non si deve fare mai, quello che rende titolo e copertina pleonastici e didascalici, secondo un reciproco rapporto antropofago, secondo un legame biunivoco di allitterazione.

L’errore esiziale, cerchiato in rosso e in blu, alla prima lezione di scrittura ed editoria, anche quella messa su dall’ultimo pseudo-tecnico del settore in ordine di arrivo e di qualità.

L’errore ingrandito, incorniciato e appeso sulla parete più in vista della redazione.

Se il libro si intitola Il ciuco o Panchine al parco, o ancora Ferita è pleonastico e ridondante, è didascalico e sciatto raffigurare in copertina un ciuco, due panchine, una ferita. È pleonastico e ridondante allo stesso modo pubblicare un asinello invece che un ciuco, la sedia a dondolo della nonna invece che una panchina, una serie di graffi o cicatrici invece che una ferita.

È come scrivere due volte il titolo, due volte il nome dell’autore, due volte le note di quarta, la biografia dell’autore e due belle foto dello stesso che si fronteggiano. Come se il lettore fosse tonto o potesse fare assegnamento su autonomie mnemoniche da pesce rosso che nuota in una palla trasparente che ne riflette cento volte la stessa immagine inebetita e boccheggiante.

Ma i libri non si giudicano nella loro complessità dalla copertina.

Mi sono imbattuto in un nuovo libro.

L’autore mi assicura che si tratta di opera meditata, sentita, tratta da una storia vera, lungo ben settecento pagine, di gran peso, intense, quindi di conseguenza, a suo dire, un libro di qualità. Se la qualità fosse intrinseca alla tematica trattata tutte le pubblicazioni in circolazione sarebbero sentite, se la qualità fosse intrinseca all’aver tratto da una storia vera le vicende del libro, tutti i libri sarebbero imperdibili, se la qualità dovesse essere misurata a peso gli orrendi “best sellers” anglo-americani sarebbero tutti indiscutibili tomi fondanti delle letterature contemporanee.

Mi sono imbattuto in un nuovo libro.

Anche l’editore, con voce cristallina ed espressione levigata come passata al vaglio di una stesura botulinica ripetuta sulla pelle e sull’encefalo, per esprimere secondo linearità disarmanti presunti essudati di verità, mi assicura che si tratta di opera meditata, sentita, tratta da una storia vera, lunga ben settecento pagine, intense, quindi di conseguenza, un libro di qualità.

Tali considerazioni fanno sorridere e illuminano, col chiarore della banalità, il mezzo buio, la mezza palude alta fino alle ginocchia, la voglia di scappar via invece di ripetere, con vocetta garrula da adolescente adulto, balbettante per sembrare angelico nel comunicare in fretta senza freno e per tentare di concedere all’interlocutore meno spazio possibile.

 Tali argomentazioni fanno sorridere ancora di più perché espresse non da acneici sbarbatelli ma da adulti addetti ai lavori, da quelli che dovrebbero essere professionisti consapevoli, attivi da anni nel settore. Ma forse per questi scrivere e pubblicare significa soltanto porre in sequenza logica lessemi che si rincorrono per fare fuffa, massa, eccipiente, stamparli, chiedere in anticipo di essere pagati per averli stampati, in qualità di tipografi e non di editori.

Fanno sorridere perché sono, di fatto, anacronistiche e stantie queste considerazioni.

Basta rivolgere l’attenzione appena a qualche secolo fa.

I teorici del Seicento disquisivano sulla qualità della pittura là dove dal naturale o dall’intelletto fosse estratta la vera risoluzione dirimente della qualità stessa, delle categorizzazioni, dei vertici assoluti toccati dagli edifici teorici. Nei Discorsi sulla pittura si disquisiva di ciò e sulla tela si dimostrava il paritetico valore intrinseco del dipinto che rappresentasse un oleografico tema storico, un compunto tema religioso, un incauto soggetto di genere, un cavadenti, un cerusico sadico, un venditore di trionfi da pescivendolo o da ortolano, la vecchiaia, le bocche sdentate, gli scolli prolassati, le membra flaccide, l’ubriachezza molesta, la pazzia, gli assembramenti stregoneschi.

Mi sono imbattuto in un nuovo libro, ma forse defletterò verso un classico. Auspicando che la pioggia diagonale di questa primavera incerta defletta anch’essa, che gli addetti ai lavori recuperino etica e deontologia, che gli scrivani diventino scrittori, che i maestri proclamino solo la verità, che gli arruffapopolo e gli azzeccagarbugli di ogni credo, colore e postazione nell’emiciclo diventino finalmente titolari di una rappresentanza democratica, che le guide esecutive non facciano smorfie nascondendo la testa dentro la giacca, che non si appellino pro forma al senso di giustizia calpestato da chi di fatto ha condannato alla morte siberiana il dissidente, che gli imbonitori da sagra paesana smettano di abbrancare microfoni accademici, che i miracolati di ogni stagione se ne stiano zitti almeno durante un semestre per struccarsi in dignitosa solitudine dal belletto che non riesce comunque a farli apparire dignitosi, che i miracolati indifendibili scelgano di scendere dallo scranno da sempre troppo elevato per la pochezza dei loro pensieri sempre mal scritti.

In attesa che gli stessi centoni compilativi, fumosi e scarsi, dichiarino di essere tali e si rifiutino di essere pubblicati, in attesa che l’oltraggiato e l’invaso non venga costretto a dichiarare la resa, che la strage infinita da entrambe le parti finalmente abbia fine, in attesa che essere lindi in superficie ma lisi nell’animo venga finalmente conclamato alla partenza e allo sparo di avvio.

Mi sono imbattuto in un nuovo libro, ma forse questa sera spegnerò la luce per scrutare meglio il cielo e dichiararmi infinitesimo di fronte a tutto ciò che stento a defiire.

 

 

 

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