Aveva smarrito il senso del vivere e la vita gli remava accanto, con qualche affanno.
Aveva dimenticato di credere e il credo, sbiadito, reso evanescente dall’assenza di pratica, gli sussurrava appena all’orecchio i nomi di quali santi pregare, gli suggeriva l’intensità del colore da poter associare al sentimento più simile alla pietà, elencava i segni ai quali rifarsi, tracciava nell’aria le ombre di leggende apprese da piccolo sulle quali appuntare il ricordo, il gioco innocente sul prato corredato di foto, la carezza di riconoscimento della persona simile per trasparenza di sguardo e fremito d’emozione.
Aveva dimenticato di essere uomo e aveva cominciato a vivere da ominide, curvo, predatore e rancoroso. Millantava atteggiamenti sottotono apparente e si copriva di panni untuosi e di fittizia noncuranza per il suo aspetto. Parlava da amico e da padre, da detentore nella tasca della figurina smangiata della presunta verità.
Non aveva dimenticato come tramare a bassa voce, parlando col servo che credeva di farsi servire e che invece non era in grado di contare le spire che questi gli aveva annodate intorno al collo.
Non aveva dimenticato di dover ondeggiare a destra e al centro per mantenersi in equilibrio, segnarsi con la mano, baciare l’anello e collezionare indecenze con la sinistra, predicare quasi, da un vacillante scranno, e farsi immortalare come un attore cialtrone accanto al collega più lustro, per istituire un virtuoso circuito di presunta amicizia con questi e con altri.
Aveva dimenticato di praticare l’ingegno e la brillantezza delle idee lo stava abbandonando.
Aveva dimenticato di non poter sostenere con lo sguardo l’accecante occhio del sole e, bruciati i piccoli occhi di spillo che madre natura gli aveva concesso, declinava in basso la sua attenzione, da furtivo piccolo possessore di un campo dove coltivare poche idee, possessore di privilegi che gli erano derivati dalla sua capacità di mellifluo imbonitore, di apparente ascoltatore, di paternalistico dispensatore di condiscendenza, di lubrico e prodigale elargitore di bassi favori, di stucchevole corteggiatore con il libro sotto il braccio.
Continuava, corredato di profilo puntuto da primate catarrino, a squadrare il mondo, infido e sottile, conservando l’odiosa saccenza maturata da bambino petulante e da giovane ambizioso in cerca di padri colendissimi che lo innalzassero a un qualche grado più alto.
Aveva vagato tra il terreno brullo dell’intrattenimento narrativo e dell’indagine critica, per le quali possedeva propensione ma capacità poco più che mediocre.
Oltre non andava, non poteva e non sapeva fare altrimenti. Ma dove non si può con la propria mano si deve trovare l’innesto prensile con altra mano, scesa dall’alto, quella che riesca a sorreggere tutto il peso.
Così si prospera e si vale, mio improvvido lettore!
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